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Vale la pena essere sempre se stessi?

Come conciliare spontaneità e Personal Branding
di Anna Fata

 

In queste ultime settimane, forse non a caso, mi imbatto di continuo in post, video, discussioni a proposito dell’essere se stessi, in tutti i contesti, ludici, professionali, audio, video, testuali, grafici e, naturalmente, di persona.

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Mi hanno colpita in modo particolare, tra i tanti un contributo video di Rudy Bandiera apparso su Facebook, alcuni post di Riccardo Scandellari, ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso in me è stata il Teorema numero 2  di Rudy in un post su Pulse, il blog di Linkedin, in cui parla dell’invidia che recita così:

“Più hai seguito più hai detrattori. E’ un assioma che prescinde da quello che scrivi e con quale conoscenza/autorità ne scrivi. All’aumentare della popolarità aumentano invidia, critiche e pensieri discordanti dal tuo. E’ normale, fisiologico e giusto”

Dopo una notte di sonno si è accesa in me una immensa lampadina che ha permesso a tutti i numerosi pezzi del puzzle che avevo raccolto nei giorni precedenti di ricomporsi in un istante.

Nella mia attività di coach, e poi anche di Personal Brander e Web Content Editor, ma ancora prima come essere umana, ciò che mi ha guidata sono sempre stati l’auto-osservazione, la consapevolezza, la trasparenza, la schiettezza, l’autenticità, la spontaneità, la coerenza. Pur, come è ovvio, nel rispetto di me stessa, del prossimo e del contesto. Come a dire: non mi presenterei mai vestita in costume da bagno ad una cena di gala, ma rifiuterei di assaggiare una portata, anche se può sembrare maleducato, se so che potrebbe fare male al mio stomaco delicatissimo.

Pagando il prezzo, nei primi anni di vita, di una esistenza e una modalità di comportamento volta più ad assecondare, compiacere, gratificare il mio prossimo, mi sono trovata a recitare un ruolo che non mi apparteneva, fino al punto di non sapere più chi fossi, cosa provassi, sentissi, volessi veramente.

Forse è anche per questo che oggi accompagno le persone nel loro processo di consapevolezza, accettazione, espressione profonda di se stesse, sul piano umano, e per estensione relazionale, affettivo, professionale.

 

Ma veniamo al punto: come il proprio Personal Branding può trarre beneficio dal porsi ed esprimersi per quello che si è realmente?

Nel web le menzogne non hanno vita lunga, prima o poi vengono smascherate. No, non mi riferisco a truffe vere e proprie, ma a quelle sottili o marcate bugie che raccontiamo di noi stessi, della nostra professionalità, delle esperienze, dei vantaggi, soluzioni, servizi, prodotti che possiamo offrire. Ma ancora prima tutto questo si riferisce a noi stessi, in prima persona, come esseri umani.

Tutti noi vogliamo fare buoni affari, ma lo vogliamo fare con esseri umani, al pari di noi, persone che sentiamo dalla nostra parte, che si pongono come aiutanti, consulenti, accompagnatori e che sentiamo umanamente interessati al nostro benessere.

Un’utopia? No, non credo. Anzi.

Un esempio concreto: che percezione avete di una persona che in pubblico sembra tanto disponibile, agisce e interagisce con tutti, poi se le scrivete un messaggio privato, lo legge, ma non vi risponde?
Oppure: come vi sentite se una persona sembra tanto aperta, gentile, magari anche affettuosa, poi quando la incontrate di persona neppure vi stringe la mano o lo fa in modo languido o sfuggente?
Fareste affari con persone così?
Vi fidereste?

Mettiamoci il cuore in pace: occuparsi del proprio Personal Branding non è un lusso, non è una perdita di tempo, non è un vezzo, e non è un gesto egocentrico. Tutt’altro!
E’ essere consapevoli delle proprie risorse e metterle a disposizione del prossimo, in modo gratuito e disinteressato, coltivando la relazione umana a prescindere da altro.
Un controsenso?
Non credo.

Piccolo corollario aggiuntivo: poiché il Personal Branding ha a che fare con il modo in cui gli altri ci percepiscono (e NON come ci vediamo noi!), gli altri ci osservano di continuo, ovunque, più di quanto ci immaginiamo, perché un’immagine di noi se la creano comunque.
Allora tanto vale coltivarla con cura.

 

Detto ciò, come fare a conciliare nel concreto spontaneità con Personal Branding?

Porto qualche esempio.
Al di là dei sopra citati grandi Influencer, Riccardo Scandellari e Rudy Bandiera, ci sono altre persone, e sottolineo persone, ancor prima che stimati professionisti che amo seguire da tempo.
Le osservo.

 

Frank-Merenda

Ammiro molto, ad esempio, Frank Merenda, per me rappresenta un pozzo di conoscenze nel marketing, si sente la sua esperienza, molto concreta, reale, vissuta, leggo d’un fiato i suoi post lunghissimi (in barba a chi dice che nel web i post devono essere corti, mentre lui trasgredisce la “regola” e ha anche un ampio seguito). Però, al tempo stesso, mai mi sono sognata d’imitarlo. Anche se a volte anche io ho la tendenza a scrivere in abbondanza, non riuscirei mai ad usare un linguaggio scurrile come il suo.
Intendiamoci bene: NON sto dicendo che ci sia un modo giusto o sbagliato di esprimersi, ma semplicemente il proprio. Ed io ammiro la sua spontaneità.

 

mirna pioli

Un altro esempio: osservo e resto sempre affascinata da Mirna Pioli, con la sua classe, il suo bon ton, il suo essere sempre informata delle ultime tendenze di moda e di buon gusto, al pari di tutto quel che attiene al suo mondo di commercialista.
La ammiro, ma mai mi sarei sognata di “imitarla”, penso che sui alti tacchi potrei resistere non più di mezz’ora. Seduta però!

 

francesca ungaro

Un ultimo esempio: Francesca Ungaro.
Al di là degli articoli professionali nei blog che cura, nei social network, Facebook in primis, amo molto la sua dolcezza, l’affetto che trasuda, la sento una persona molto calda, disponibile, sensibile generosa. E adoro il suo gatto!
Pubblicare gattini aumenta l’audience? Non credo proprio che lei lo faccia per questo fine, non penso ne abbia bisogno. Sento che fa parte del suo spirito materno. Tutto qui.
Anche io amo pubblicare il nostro Micio Ettore, è un fatto troppo privato? Non abbastanza professionale? Non saprei. Credo che per ogni cosa serva un equilibrio e una via di mezzo.

 

Questo è il punto fondamentale, ci siamo arrivati.
Oggi più che mai sono dell’idea che valga la pena essere se stessi.
Se è vero che alcuni di noi si ostinano a nascondersi dietro ad uno schermo, cercano di presentare immagini distorte, fuorvianti di sé, del proprio essere e della propria professionalità, credo invece che sia arrivato il momento più che mai di trovare la modalità per ciascuno più appropriata di essere, esserci, esprimersi, attraverso le tecnologie, gli schemi, così come di persona.

Viviamo in un’epoca in cui disponiamo di strumenti che possono aumentare le nostre possibilità, i sensi, le esperienze, i contatti, le relazioni, le occasioni professionali: sta a noi e solo a noi decidere di avvalercene al meglio.

 

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