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Omaggi e marketing: Quali reali vantaggi?

La gratuità di un prodotto/servizio ne incentiva la vendita, oppure lo svaluta?
di Anna Fata

Da tempo sento parlare di dono, soprattutto tra blogger, erogatori di servizi, e aziende che usano maggiormente il temine omaggio, per indicare prodotti in prova o quantità aggiuntive rispetto a quelle comunemente contenute nel formato di vendita.

Spesso in questi casi si finisce con l’avvalersi della gratuità, in realtà, per “comprare” un potenziale cliente, per fidelizzarlo, quindi, in realtà, è un investimento, un dare in funzione di un futuro avere. Un omaggio, quindi, ma forse non proprio un dono disinteressato.

Premesso ciò, fino a che punto può valere la pena investire nella gratuità per un ritorno futuro?

Come invitare alla prova, suscitare il desiderio del possesso, senza insistere, né svendere, né svendersi? Come creare valore per il cliente, donando qualcosa e accompagnando all’acquisto?

Questioni spinose, specie di questi tempi, in cui piovono offerte a destra e a manca, da quali ciascuno di noi viene costantemente bersagliato e non c’è ombrello né impermeabile che riesca a difenderci da questo assalto pressoché continuo.

Anche il dono, apparentemente senza ritorno per chi lo eroga, viene strumentalizzato ai fini commerciali. Anche per questo siamo diventati tutti almeno un po’ diffidenti. “Se mi regalano qualcosa ci deve essere dietro una truffa” – talvolta ci ritroviamo a pensare.

Cosa rende un dono, in termini percettivi, qualcosa di realmente accattivante per il potenziale cliente e che lo induce del tutto spontaneamente, con un moto interiore personale, a continuare la relazione con noi e ad acquistare il nostro prodotto/servizio?

Il dono, in sé, quando viene percepito come autentico, disinteressato da parte di chi lo porge, utile e gradito a chi lo riceve, al momento giusto, nel posto giusto crea un effetto di meraviglia, sorpresa, gratitudine che induce chi lo riceve a ricambiare in qualche modo. Egli si sente a tal punto gratificato come essere umano, e sottolineo questo aspetto, prima ancora che in termini commerciali, nel suo ruolo di potenziale cliente, che si sente proprio su tale piano personale in qualche modo in debito con la persona (e non venditore) che glielo ha porto.

Il dono, quindi, apre le porte, prima di tutto ad una relazione umana.
Questo è l’aspetto fondamentale.
Tutti siamo umani, vogliamo avere a che fare con umani, e vogliamo trattare ed essere trattati come tali, a prescindere dai ruoli professionali, economici, commerciali che possiamo assumere nelle diverse situazioni.

Quando il dono, però, rischia di risultare controproducente, fino ad punto di fare scappare il potenziale cliente o di indurlo a svalutare quello che gli stiamo offrendo?

  • Il dono non viene fatto in modo autentico, onesto, trasparente, disinteressato: sono percezioni sottili, ma esistono. A volte non ce ne accorgiamo in modo consapevole, né quando le attuiamo, né quando ne siamo oggetto, ma accadono
  • Il dono viene porto in modo insistente: è il caso, ad esempio, di alcune fiere, in cui i venditori ci vogliono accollare a tutti i costi gadget e altri oggetti che ci appesantiscono nella fiera e che a casa siamo costretti a gettare in quanto inutili
  • Il dono non viene offerto nel momento o nel luogo appropriato: regalare un gelato d’inverno non è la stessa cosa che donarlo in una calda giornata d’agosto
  • Il dono è eccessivo o sproporzionato: per questioni ataviche di sopravvivenza siamo portati da un lato a credere che nessuno fa niente per niente, dall’altro che dobbiamo ridurre il più possibile gli sforzi e le energie che impieghiamo per riservarle ai momenti di attacco, fuga, difesa. Se il dono è eccessivo ci mette a disagio, magari se voluminoso ci appesantisce, se economicamente eccessivo crea un senso di sospetto che spinge alla fuga
  • Il dono, specie se fatto in modo indiscriminato, rischia di essere una perdita di soldi, tempo, energia per chi lo porge, perché non targettizza in modo preciso, quindi in ampia parte diventa uno spreco. Molti , semplicemente, non sono in grado di apprezzare
  • Il dono inteso come prova gratuito di un servizio o prodotto in forma parziale (freemium) può essere in alcuni casi allettante: se è in grado di rispondere ad un bisogno latente (es. non mi ero accorto che era ora di pranzo, ora che vedo quel piatto succulento mi accorgo di avere fame e che è proprio l’ora giusta di mangiare), crea un desiderio di continuare l’esperienza (un aperitivo gratuito all’ora di cena invita a continuare l’esperienza gastronomica in quel contesto)
  • Un dono concreto, di un prodotto tangibile, per certi versi offre maggiore semplicità di gestione: la persona può toccare con mano direttamente ciò di cui si tratta, più complessa può essere la gestione e la relativa percezione di un servizio, che dà adito a più ampia soggettività esperienziale
  • Il dono può essere demotivante per le persone: questa è una situazione molto delicata. Quando per l’acquisto di un prodotto, e ancora più di un servizio, che implica non solo un ampio e prolungato investimento di denaro (es. rate, altre forme di pagamento dilazionato e fruizione del bene nel tempo), ma anche una motivazione solida e continuativa del cliente nel mantenere il rapporto, un dono iniziale non solo non basta, ma spesso risulta controproducente. Il tasso di persone che si ferma al dono iniziale o che rinuncia all’impegno commerciale in itinere può essere molto alto al punto da mettere in discussione la validità dell’approccio dell’incentivo iniziale.

Queste sono alcune considerazioni di massima che negli anni ho riscontro e che, lungi dall’essere esaustive né ubiquitarie, possono magari fungere da spunti di riflessione quando occorre orientarsi tra gli strumenti incentivanti la relazione e l’invito all’acquisto.

Credo si debba fare prima di tutto esperienza personale, valutando caso per caso, anche e soprattutto in virtù degli obiettivi che si desidera raggiungere, del target a cui ci si rivolge, del contesto socioeconomico, culturale, geografico, del tipo di servizio e/o prodotto, del brand di chi offre il servizio/prodotto e dell’immagine che desidera veicolare di sé. Dubito vi siano soluzioni valide per tutti e in senso ubiquitario. Serve mettersi alla prova e calibrare la strategia, eventualmente, anche in itinere.

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