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Come fare l’intervista perfetta

Porre domande interessanti all’intervistato, essere utili al lettore
di Anna Fata

 

Negli ultimi quasi vent’anni di lavoro mi sono trovata ripetutamente nel ruolo sia di intervistatrice  (leggi la mia ultima intervista a Simone Bennati, ad esempio) sia d’intervistata. Grazie a ciò mi sono resa conto di quali sono gli errori più comuni che tendiamo a compiere in entrambe le situazioni. Alla luce di questo mi sono decisa a scrivere questo piccolo contributo.

Il ruolo dell’intervistatore è molto delicato, potrebbe all’apparenza sembrare quasi irrilevante, considerate le poche parole che il buon intervistatore dovrebbe proferire, invece proprio per questo è l’esatto contrario. La preparazione che l’intervistatore dovrebbe crearsi per ogni situazione non è mai abbastanza. Proviamo a vedere nel dettaglio quali possono essere alcuni dei passi fondamentali:

  • Individuare il tema oggetto dell’intervista: se non si hanno le idee chiare in merito, difficilmente le si riesce a trasmettere. E’ fondamentale circoscrivere un argomento, se si allarga troppo il cerchio si rischia di discutere di tutto e niente confondendo il lettore
  • Individuare un esperto in materia: oltre all’imprescindibile disponibilità della persona a farsi intervistare, resta fondamentale valutare la capacità espressiva della persona. Farsi comprendere, tanto per essere espliciti. Va bene effettuare un minimo di editing sui contenuti, ma non si possono stravolgere i contenuti né le modalità espressive. Si rischia di distorcere il messaggio, pratica assolutamente non etica
  • Conoscere il target: interessa al mio pubblico l’argomento scelto? L’esperto scelto gode di reputazione, affidabilità tra il mio target? Occorre ricordarsi che il proprio lavoro si svolge in funzione di un pubblico da soddisfare, a cui essere utili, fornire risposte, risolvere dubbi, problemi, migliorare la qualità della vita e del lavoro
  • Conoscere il contesto: il contributo è adeguato da pubblicare nel contesto scelto? Non è pensabile pubblicare un’intervista altamente tecnica all’interno di un magazine a carattere divulgativo, ad esempio
  • Prepararsi le domande: può sembrare banale, ma non lo è. Lo dico con cognizione di causa. Da intervistata troppo spesso mi è stato detto: “Pensa alle domande che io vuoi che ti rivolga”. L’intervistato nel suo ruolo risponde, l’intervistatore pone domande. Non solo perché è il lavoro di quest’ultimo, ma anche perché solo lui conosce il suo target e il contesto in cui si inserirà l’intervista. Le domande dovrebbero essere strutturate in modo semplice, ma non banale, comprensibile (no, non è cosa scontata, anzi), con poche subordinate, non eccessivamente lunghe né prolisse, né duplici. Dovrebbero essere domande che prevedono risposte aperte per stimolare il dialogo, e non chiuse
  • Di persona o per iscritto: le interviste dirette, audio, video, o indirette, via mail, hanno delle peculiarità differenti. Le prime permettono una discussione più fluida, immediata, sciolta, ma se le si vuole sbobinare richiedono molto tempo, le seconde appaiono più rigide, impostate, permettono meno di cogliere eventuali altri spunti di discussione e comportano maggiore impegno per l’intervistato. Per la scelta di una modalità o dell’altra occorre ponderare bene o pro e i contro e agire per quanto possibile sui limiti e rinforzare le potenzialità
  • Documentarsi: per porre delle domande valide occorre documentarsi. Anche questo sembra ovvio, ma non lo è. Quante interviste noiose, banali, ripetitive, superficiali ho subito negli anni! Per poter porre domande intelligenti, costruttive, dobbiamo conoscere bene sia la materia, sia la persona che andremo a intervistare. Certo, non dobbiamo diventare esperti a nostra volta, ma almeno sapere di cosa si sta parlando. Se rivolgiamo domande che portano l’intervistato a ripetere cose da lui già più volte ribadite, o che suscitano in lui noia, ci si può immaginare quale sentimento questo potrà suscitare a sua volta nel pubblico …
  • Tra il personale e il professionale: anche nelle interviste a sfondo professionale una pennellata di umanità può sempre servire (se l’intervistato, nei limiti della sua discrezione, acconsente, e noi non siamo troppo invadenti), perché aiuta l’immedesimazione e l’empatia da parte del pubblico
  • Sapersi mettere da parte: al pubblico interessa l’intervistato. Questo dobbiamo tenerlo sempre presente. Il lavoro di intervistatore è ampio, preciso, accurato, profondo, ma in ampia parte dietro le quinte. Questo dobbiamo tenerlo sempre ben presente. Grande spazio deve essere dato all’intervistato, per cui: domande brevi, efficaci, potenti, una per volta, mai interrompere quando parla (se è vis a vis), semmai indicare gli spazi a disposizione se è un contesto scritto, laddove esistono
  • Non esagerare con le domande: la disponibilità di una persona ha un limite. E non mettere sotto pressione l’intervistato: non è un interrogatorio
  • Se non ci è chiara una risposta, chiedere di esplicitare: solo noi conosciamo il nostro target e se non siamo sicuri che una risposta possa essere soddisfacente per esso, non vergognarsi a domandare un chiarimento. Molti esperti, proprio perché conoscono la materia, a volte danno molte cose per scontate
  • Chiudere con una domanda particolarmente utile o toccante per il pubblico
  • Effettuare l’editing: la cura della forma è basilare, sia per iscritto, sia nei video. Questo a patto che non si distorca il senso del messaggio
  • Inviarla in anteprima all’intervistato prima di divulgarla per eventuali correzioni o modifiche.

 

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