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Piero Babudro
Web Marketing

Piero Babudro: manuale di scrittura creativa e consapevole per il web

Intervista a Piero Babudro sulla scrittura creativa e consapevole
Di Anna Fata

Nel Web, nei Social se non scrivi, se non produci contenuti, li diffondi, li segui costantemente, li commenti, non esisti. E se fai tutto questo in modo disconnesso e discontinuo, senza obiettivi ben precisi, senza un target ben definito, rischi di perdere solo tempo ed energie.

Per scrivere contenuti realmente efficaci, impattanti nel Web e nei Social occorre avere metodo e costanza. Un libro come quello scritto da Piero BabudroManuale di scrittura digitale creativa e consapevole” ci aiuta concretamente in questo processo.

 

manuale scrittura digitale creativa e consapevole

 

Come conciliare creatività con un approccio tecnico? Come essere certi che quello che si sta dicendo o condividendo è vero? Come strutturare un testo affinché abbia un impatto sul lettore e lo induca a leggerlo fino in fondo e magari anche condividerlo? Come superare il timore della pagina bianca e scrivere testi efficaci? A queste e molte altre domande risponde il libro di Babudro, che si addentra con una cura quasi maniacale nello sviscerare gli aspetti più sottili, ma fondamentali, per redigere testi ottimali per il Web.

Il libro non è solo teorico, ma anche pratico, grazie agli esercizi che pagina dopo pagina accompagnano il lettore e lo stimolano ad esercitarsi a mettersi subito all’opera.

Incuriositi dal metodo dell’Autore abbiamo deciso di porgli alcune domande di approfondimento:

Nel tuo libro tu sostieni di smetterla di pensare al registro scritto e ora come disgiunti, nel caso della scrittura nel Web e nei Social Quali vantaggi e quali rischi, secondo te, possono sorgere da questa commistione?

R. Nel libro ho ricordato che la Rete ci ha condotto in una nuova dimensione del comunicare, all’interno della quale scrivere assomiglia molto al “dire”. Questo è un dato di fatto. Viviamo un periodo in cui le strutture che un tempo davamo per definite si stanno progressivamente sfaldando, nel micro come nel macro. La struttura del registro scritto non fa eccezione. Davanti a questo cambiamento ci sono due scelte: o continuare a scrivere pensando alle nostre parole come a simboli che finiranno su un pezzo di carta e poi sarà letto in modo sequenziale, oppure comprendere che questo muoversi in direzione di una nuova empatia tra persone deve per forza di cose abbracciare un registro più caldo, emotivo. Qualcosa che chi legge possa percepire come vicino. Per questo è importante pensare al proprio sito/blog o ai canali Social Media come a una radio che ci connette al mondo. A quella porzione di mondo per noi rilevante. La radio è fatta di parole, suoni, pronuncia ed è il medium che più di tutti si avvicina all’idea che ho io di scrittura creativa digitale. Come giustamente ricordi, la commistione di registri non è esente da rischi: primo tra tutti pensare che la Rete sia un fenomeno giovanilistico – e purtroppo c’è ancora chi la pensa così – e quindi adottare stilemi e linguaggi gergali. Si finisce per allontanare i propri portatori di interesse.

Tu parli spesso di responsabilità dell’autore verso il testo e i lettori. Quali suggerimenti offriresti di fronte al rischio di contribuire alla diffusione di “fake news”, scrivendole o divulgandole con la content curation?

R: Stiamo entrando in un periodo in cui ogni professione dovrà fare sempre più i conti con il proprio lato etico. Non parlo di deontologia in senso stretto: abbiamo fior di codici che regolano determinate professioni intellettuali e, a partire dal Codice deontologico dei giornalisti, siamo bravissimi nell’aggirare norme e disposizioni. Parlo della necessità di interrogarsi seriamente sul potere della parola e sui danni che può generare nel pubblico se divulgata in modo scorretto o insensibile. Il primo suggerimento che offro è questo: ogni contenuto che produciamo – anche le mie risposte all’intervista – può essere un elemento che alimenta il sovraccarico di informazioni. Può generare rumore di fondo, disorientare, creare confusione. Oppure creare condivisione, mettere a confronto punti di vista e far crescere le persone. Essere consapevoli di questo bivio permette di guardare ai contenuti che si vogliono produrre in modo diverso. Ci aiuta a esercitare il dubbio, a incrociare le fonti. Anche a prenderci il tempo che ci serve per produrre un contenuto. Il giornalismo tradizionale – giusto per fare un facile esempio – ha cominciato a entrare in crisi, almeno come dispositivo narrativo, quando, scontrandosi con la modernità del Web, ha accettato la sfida delle tempistiche e non quella della qualità.

Quali suggerimenti ti sentiresti di elargire per fare in modo il più possibile che le intenzioni comunicative coincidano con le interpretazioni di chi legge? E nel caso si verificassero distorsioni di senso, incomprensioni, come dovrebbe comportarsi l’autore?

R: Bella domanda, sul serio! Spesso vogliamo esprimere un concetto, ma le nostre parole alla fine dicono tutt’altro. Succede molto spesso a tutti: mi è accaduto non so quante volte. Poi ho cominciato a domandarmi chi fosse il mio lettore, di quali informazioni avesse bisogno. Ho cominciato a immaginare quale fosse l’effetto di ogni parola, di come il ritmo di ogni frase influisse sulla percezione del testo stesso e, in ultima analisi, sul lettore. Questo nuovo approccio mi aiuta molto a non dare per scontato nulla. Quando però si manifestano le inevitabili incomprensioni che caratterizzano ogni rapporto di scambio tra persone, consiglio sempre di ammettere errori o imprecisioni. Certo, non sempre è facile moderare certi commenti al vetriolo, ma almeno così facendo si trasformando tutte le critiche costruttive in opportunità.

A tuo avviso, quali potenzialità e rischi può offrire la scrittura condivisa, specie nel Web e nei Social?

R: La prima potenzialità è senz’altro la possibilità di costruire nuove identità e inediti rapporti tra persone, all’interno di una cornice meno verticale e autoritaria. Il primo rischio, la rincorsa ossessiva alla performance, al risultato, alla visibilità facile, al like compulsivo.

Ha ancora senso oggi, specie nel Web e nei Social, parlare di copyright? E nel caso, in che modo?

R: Il copyright tutela sempre meno la proprietà intellettuale e, al pari della privacy, è destinato a sparire. Più che difenderlo a oltranza con una battaglia di retroguardia, è meglio creare percorsi virtuosi all’interno dei quali la riconoscibilità dell’idea e del processo di produzione da cui discende un contenuto genera il valore associato al contenuto stesso.

Quali consigli potresti offrire in termini di copywriting per coltivare al meglio il proprio Personal e Professional Brand per attrarre e fidelizzare il proprio target, ma senza tradire se stessi?

R: Eh, domanda difficile. Ho scritto un libro su questo argomento e spesso ho il dubbio di aver detto il 30% di quello che potrei. Ma il primo consiglio che posso dare è: non aderire a stili, convenzioni e forme che hanno banalizzato molti blog, molte pagine Facebook o Linkedin. Agire in Rete significa togliersi di dosso divise e paramenti e raccontarsi per ciò che si è, senza fronzoli: insomma, un giusto mix tra persona e professionista.

Lo Storytelling nel Web e nei Social: quali indicazioni ti senti di dare per creare la storia perfetta?

R: Di cercarla, seriamente, pur sapendo che non sempre è possibile trovarla. Molti tendono a confondere lo Storytelling col produrre contenuti che fanno leva su emozioni facili e, sotto sotto, servono a vendere prodotti, marchi o aziende di cui non abbiamo bisogno e possiamo fare a meno. Perché, mi chiedo, tirare fuori un melodramma stiracchiato sul rapporto a distanza padre-figlio per vendere una nuova tariffa telefonica? Le storie perfette nascono dalla credibilità, questa è la prima regola. La seconda è che le storie esistono se al loro interno si muovono personaggi coerenti, costruiti in modo attendibile e capaci di rappresentare un esempio in cui riconoscersi senza per forza doverci convincere a parole. Che la pubblicità e il marketing stiano diventando più narrativi è un fatto. Ma molti esempi di Storytelling che vediamo attorno a noi non rispettano questi due semplici parametri: credibilità del soggetto che narra, coerenza dei personaggi o protagonisti. E allora non c’è più Storytelling, ma pubblicità sotto mentite spoglie, una scrittura creativa poco convincente.

Per concludere: ci offriresti 3 o più motivi per cui può valere la pena acquistare e leggere il tuo libro?

R: C’è molta pratica: nasce da più di dieci anni di esperienza di lavoro nella Comunicazione e di insegnamento ai futuri talenti del Design. Devo molto ai miei piccoli maestri, i primi a sperimentare gli esercizi proposti nel libro. C’è molta teoria, il giusto. C’è un approccio diverso, che considera giornalismo, copywriting, scrittura creativa e blogging come componenti di una grande famiglia, e non come rigide discipline che non si parlano e non hanno niente da dirsi. Ci sono riferimenti a musica, cinema e serie tv: elementi che, se usati con criterio e accortezza, ci aiutano a essere creativi. Si parla dell’importanza di un respiro corretto e dell’Intenzione tranquilla, concetto mutuato dal Taijiquan. C’è molto di me: ho imparato tanto sulla scrittura praticando arti marziali e meditazione, ma è anche vero il contrario. Scrivendo ho imparato a scandagliare porzioni di me stesso altrimenti irraggiungibili.

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