Come promuovere l’attività della libera professione?
Tra self branding e personal branding
di Anna Fata
Fonte immagine: DealerMarketing
Personal branding, self branding, branding individuale sono espressioni che vengono fatte risalire ad un articolo di Tom Peters del 1997, ma in realtà sono già presenti nel libro “The battle for your mind” di Al Ries e Jack Trout del 1980.
Personal branding e self branding si usano spesso come sinonimi,
ma in realtà sono due concetti differenti, seppure contigui.
Il self branding è costituito dalla interpretazione e rielaborazione personale che l’individuo-consumatore (o prosumer) compie nell’utilizzo delle marche, in modo da sentirsene rappresentato ed esprimendo una parte di sé attraverso esse, contribuendo anche alla costruzione delle marche stesse, veicolando i loro valori.
Tale concetto si basa sul fatto che il prosumer elabori la propria propensione all’acquisto e i suoi comportamenti di consumo tenendo conto delle marche maggiormente assimilabili al proprio universo valoriale, dunque alla percezione che ha e che vuole dare di sé.
Poiché oggi il concetto di self brand si sta estendendo sempre più anche verso la veicolazione di sé come marca, esso diviene la base da cui partire per costruire il proprio personal brand.
Il personal brand è la risultante di un processo di costruzione e veicolazione di una marca che fa riferimento a un individuo. Esso passa attraverso la consapevolezza dei propri punti di forza, conoscenze, competenze, stile, carattere, abilità, che contraddistinguono in modo unico la persona e la loro comunicazione tramite specifici strumenti di marketing.
Si tratta di esplicitare le proprie risorse, che si rendono disponibili agli altri, di smussare i punti deboli, in un’ottica di miglioramento continuo di sé.
Il brand è una promessa che in quanto tale deve essere mantenuta nel tempo, per questo è fondamentale che il brand personale sia il più possibile autentico e in linea con quel che si è veramente e con quel che si può offrire concretamente.
Si tratta di essere riconoscibili, distinguersi, farsi ricordare.
Si deve essere coerenti nel dire e nel fare, nell’apparire e nell’essere. Il successo deriva dalla congruenza tra i valori promulgati e quelli realmente offerti e condivisi tramite il proprio operato.
Certamente si deve essere in linea con il contesto (co-branding), ma ciò può scaturire in modo naturale, nella misura in cui, seguendo i propri principi, valori, inclinazioni, si è, si fa, si va esattamente nei contesti in cui ci si sente affini.
Ad esempio, un libero professionista, un consulente che si reca in un’azienda dovrà vestirsi, comportarsi, parlare in modo adeguato al contesto, ma mai fingere, né decentrarsi rispetto alla sua essenza.
Inutile indossare un tailleur o un abito, ad esempio, se non ci si sente a proprio agio, meglio un abbigliamento sobrio, curato, più informale, se lo si sente più affine a sé, mantenendo modi cortesi, rispettosi, cordiali, come si conviene in tali frangenti.
Anche la scelta dei collaboratori deve essere in linea con il proprio personal brand, nella misura in cui essi sono l’estensione e il riflesso della propria filosofia di lavoro, e spesso anche di vita. Verificare che si tratti di persone non solo competenti e abili, ma anche automotivate, appassionate, etiche, di fiducia, collaborative, può essere un punto di forza anche per il proprio personal brand.
Il personal brand è la propria reputazione, che non inizia né si esaurisce nel contesto professionale, ma si estende anche alla vita privata. I propri clienti si rendono immediatamente conto se un brand non è onesto, o autentico e la loro fiducia viene immediatamente meno.
Il personal brand non è il luogo della modestia, ma neppure dell’autopromozione spinta.
E’ semplicemente un modo sobrio, costante, alimentato giorno dopo giorno, con costanza, umiltà, dedizione, servizio al prossimo, di offrire se stessi e i propri talenti, declinati in modo privato e/o professionale.
E’ un’attività che coinvolge 24 ore su 24.
E’ un processo che parte e ritorna costantemente alla domanda chiave di fondo: chi sono io? E di riflesso: chi sono io agli occhi degli altri? Come mi percepiscono gli altri?
Tutti sono potenziali canditati per offrirci le loro percezioni: amici, parenti, familiari, colleghi, superiori.
Il confronto tra il come ci si percepisce e come veniamo percepiti funge da cartina al tornasole di confronto tra come si crede di essere (e a volte come si vorrebbe essere) e come si è per gli altri. Si tratta di informazioni preziose per aumentare la consapevolezza di sé ed avviare eventuali processi di cambiamento.
Altri elementi chiave su cui riflettere sono le proprie radici e la direzione desiderata: che cosa ha portato ad essere ciò che si è? Da dove si viene? Dove si è? Dove si desidera andare? Come arrivarci?
Ogni brand deve veicolare una storia. La storia deve essere vera, coinvolgente, emozionante, ricca di morale, buoni insegnamenti, concreta, in cui molti possono identificarsi, migliorare, crescere, apprendere.
Al tempo stesso è importante la semplicità, qualcosa di immediatamente comprensibile, alla portata dei più, essenziale, immediato, meglio ancora se veicolato visivamente.
Osservare le buone prassi che hanno funzionato in passato, rilevare gli elementi comuni, possono rappresentare una strada da percorrere: rispettare le tradizioni non significa non saper innovare o disconoscere se stessi e la propria unicità, ma valorizzarli ancora di più, andando oltre quel che c’è già stato, facendo tesoro di tali esperienze.
Oggi più che mai l’aspetto comunicativo del branding è imprescindibile. L’atto comunicativo e l’aspetto relazionale che esso instaura è manifestazione stessa del proprio esistere.
Nel web alcuni passi importanti da compiere possono essere: verificare la eventuale preesistenza di un personal brand affine al proprio, definire gli scopi della propria presenza nel web, gli strumenti più opportuni per raggiungere i propri obiettivi, la scelta del nome del proprio spazio, di immagini appropriate, quali messaggi veicolare, come, dove, quando, le interazioni da coltivare.
Ad esempio, per veicolare il proprio personal brand può essere utile un blog o un sito, con nome del dominio e lo spazio acquistati.
Oltre ai contenuti e alle intenzioni, particolare cura va riservata all’aspetto grafico, le immagini, il layout, i colori.
Ad esempio:
• il giallo trasmette vitalità, solarità, ottimismo, ma è difficile leggerlo sul video;
• il rosso trasmette energia, calore, forza, passione, ma può essere associato ad un allarme, un pericolo;
• il blu esprime sicurezza, profondità autorevolezza, ma anche formalità, distacco;
• il verde induce serenità, calma, rilassamento, è il più facile da codificare per gli occhi, ma si può associare alla nausea in alcune tonalità;
• l’arancione evoca interazione, piacere, apertura, ma è di difficile leggibilità sul video;
• il rosa evoca romanticismo, femminilità giovanile, regressione, ma spesso è prerogativa esclusiva delle donne;
• il nero è il colore del lusso, della sobrietà, della tradizione, ma è anche evocativo della morte;
• il viola è indice di profondità, spiritualità, ma si associa anche alla quaresima e a varie forme di superstizione.
Fonte immagine: DesignrsHub
Per la scelta dei colori è sempre bene basarsi su una congruenza con i contenuti, la leggibilità a video, evitando di adottarne più di tre, perché l’eccesso di colore rischia di distrarre l’attenzione.
Affinché il blog e/o sito siano reperibili, perché non basta esserci, è necessario farsi trovare, sono necessari alcuni accorgimenti tecnici, tra cui: “SEO”, impostazioni specifiche per farsi indicizzare dai motori di ricerca, “metadescription”, cioè una descrizione del sito/blog che lo differenzi da tutti gli altri, “permalink”, cioè l’URL di ogni singola pagina, sintetica, esplicita, ricca di parole chiave, “categorie” in cui vengono raggruppati e archiviati i post, con termini rappresentativi dei contenuti, “TAG”, cioè le parole chiave del testo, secondo il puto di vista di chi cerca e di ciò di cui potrebbe aver bisogno, “ALT”, per indicizzare anche le immagini.
Se il sito implica una maggiore staticità, è una forma di vetrina più stabile nel tempo, il blog consente maggiore interattività, immediatezza, ma soprattutto la possibilità di approfondire i contenuti che sui principali social network vengono solo accennati. Social network, sito, blog, in ogni caso, devono essere interconnessi, coerenti, e rimandarsi l’un l’altro.
Nei social a sfondo più professionale, così come in quelli più ludici ci deve comunque essere una costante coerenza, continuità, in modo tale che il proprio brand, privato e professionale, sia un tutt’uno armonico. La vita privata non può e non deve contraddire quella professionale, ma deve essere l’incarnazione dei medesimi principi e valori. Chi ci osserva sa leggere anche le più piccole sfumature e se non siamo autentici o contradditori gli altri se ne accorgono subito. Basta una sola mossa sbagliata per rovinarsi in un istante anni di reputazione. Se dovesse inavvertitamente accadere, meglio riconoscere pubblicamente l’errore e porgere le scuse, purché sincere e sentite. Il pubblico (o prosumer) sa essere talvolta molto umano e comprensivo, specie laddove sente altrettanta umanità. Non perdona in caso di menzogna o di perseveranza nell’errore.
La scelta del dominio va effettuata con cura, a seconda degli obiettivi: nome più cognome è la più versatile, nel caso di contenuti che cambiano nel tempo, è utile quando nome e cognome sono gradevoli al pubblico, facili da ricordare, capaci di veicolare la nostra unicità. Il rischio è sfociare nell’egocentrismo. Ci vogliono molta umiltà e autoconsapevolezza per effettuare questo di scelta.
Un dominio basato sul nome del prodotto o servizio è più concreto, efficace, ma col tempo potrebbe risultare limitante, se si avviano nuovi servizi o prodotti.
Un dominio centrato su un nome di fantasia può essere un buon compromesso, specie per le professioni creative, purché sia evocativo, facile da ricordare, accattivante, legato ad una storia coinvolgente.
Ogni forma di comunicazione che adottiamo nel web veicola il nostro personal brand, per cui nulla deve essere lasciato al caso. Ad esempio le e-mail:
• l’e-mail informale/informale: si scrive ad amici, familiari stretti, ci si può permettere ogni forma di espressione e contenuto, pur nei limiti della decenza e del rispetto reciproco;
• l’e-mail formale/formale: si scrive a clienti, fornitori, colleghi, superiori, oggetto e contenuto devono essere chiari, concisi, seppure esplicativi, con periodi brevi, correttezza ortografica, termini appropriati, formule di cortesia dall’inizio alla fine;
• l’e-mail formale/informale: si scrive ad un cliente, collega con cui si è deciso di passare al “Tu”, ma con cui non c’è confidenza stretta. Anche in tal caso oggetto e contenuto devono essere chiari, periodi ben formulati, correttezza ortografica, saluti iniziali, finali, seppure meno formali della precedente;
• l’e-mail informale/formale: per comunicare con colleghi, collaboratori, clienti con cui si è in confidenza. Anche in tal caso chiarezza e correttezza sono d’obbligo, anche se le formule espressive possono essere meno formali.
E’ necessario, inoltre, fare attenzione all’indirizzo mail da cui si scrive, affinché sia sobrio e in linea col proprio personal brand.
Curare le relazioni in prima persona nell’era dei social network è basilare non solo per mantenere e acquisire nuovi potenziali clienti, per coltivare la propria professionalità e autorevolezza percepita, e fiducia verso di noi, ma anche perché attraverso eventuali idee, suggerimenti, o anche critiche costruttive possiamo adattare i nostri stessi prodotti e/o servizi alle aspettative ed esigenze del mercato.